Genitori e giovani consumatori in lockdown: “Ora si conoscono meglio di prima”

“Sicuramente il periodo di lockdown ha cambiato i rapporti tra genitori e figli. In base alla mia esperienza diretta su Ferrara, oggi madri e padri sono molto più coscienti di prima sulle condizioni di salute dei propri figli, e ne sono contenti”. A parlare è Luisa Garofani, direttore del Servizio per le dipendenze patologiche dell’Azienda Usl di Ferrara.

Costrette all’isolamento, intere famiglie sono state chiamate a riorganizzarsi e a riorganizzare le proprie relazioni. Ma cosa è successo all’interno dei nuclei familiari di giovani consumatori di cannabis o di altre sostanze stupefacenti? “Per il primo mese, nessuno ha avuto problemi particolari – spiega –. Con ogni probabilità, o ciò di cui avevano bisogno l’avevamo in casa oppure trovavano il modo di procurarselo. Almeno all’inizio, gli spacciatori si mettevano in fila al supermercato – soprattutto al supermercato, ma talvolta anche di fronte alle farmacie – e lì incontravano i clienti. Sul nostro territorio non ho avvertito un allarme cannabis, quanto più un deciso consumo di alcol, facilmente disponibile nelle abitazioni. Le cose hanno cominciato ulteriormente a cambiare nel periodo subito successivo, diciamo all’incirca dopo il prime mese e mezzo della fase 1”.

Quando parla delle persone già in carico al servizio, Garofani parla di “autogestione”: “I consumatori di cannabis e cocaina oppure quelli di cannabis, alcol e cocaina – in pratica quelli che pensano di potersi scegliere lo stato d’animo – si sono resi conto che in questo ritiro forzato i genitori cominciavano ad accorgersi delle loro reali condizioni ed emozioni. I momenti di nervosismo, quelli di eccitazione, quelli di agitazione, i pranzi e le cene saltati erano davanti agli occhi di mamma e papà”. Così, Garofani ha cominciato con le videochiamate: “Ho cominciato spiegando ai genitori – talvolta in collegamento anche con i figli – quali sono gli effetti della marijuana e della cocaina”.

Come sottolinea Garofani, “i ragazzi che seguiamo sono tutt’altro che marginali o sprovveduti. Sono studenti universitari di famiglie normali mediamente istruite, non disagiate o in condizioni di fragilità”. Per la prima volta, questi giovani consumatori che mai prima di allora avevano voluto coinvolgere i genitori, hanno dovuto mostrar loro la verità: “Nella maggior parte dei casi, i genitori dei nostri ragazzi sono a conoscenza del minimo indispensabile e stanno benissimo così: si accontentano di non sapere. Spesso nemmeno si rendono conto delle reali condizioni del figlio, certi come sono che si tratti semplicemente di un consumatore ‘saltuario’. Ecco, durante questa pandemia hanno riempito di nuovi significati la parola ‘saltuario’: si sono accorti che avrebbero fatto meglio a dire ‘un giorno sì e uno no’”.

Quella che la dottoressa ha condotto è un’operazione di psicoeducazione sulle sostanze molto precisa: “Oggi affermo con certezza che sarebbe molto utile continuare a farla. I genitori, anche quelli separati, anche quelli soli, mi hanno lasciato entrare nelle loro vite e ora mi ringraziano, perché conoscono meglio i propri figli. Anche i figli hanno cambiato atteggiamento: avere genitori informati li obbliga a una nuova presa di responsabilità”. Le famiglie con ragazzi consumatori in questa quarantena, di fatto, “sono stati privilegiati con un intervento responsabilizzante. Le videochiamate, inizialmente scelte come unica alternativa alle nostre attività in presenza, si sono poi rivelate strumento chiave per entrare, con una nuova modalità, nelle case dei nostri giovani e delle loro famiglie”.

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