“Cannabis light”, tra mercato in espansione e “vulnus” legislativi

A Bologna, lo scorso 11 giugno, il servizio Area15 gestito dalla Cooperativa Open Group e La Carovana, in collaborazione con l’associazione studentesca Gruppo Prometeo (che opera nella Scuola di Medicina e Chirurgia del capoluogo emiliano), ha organizzato una iniziativa pubblica per approfondire il tema della cosiddetta “cannabis light”. Quali sono le sue proprietà, le differenze con la cannabis terapeutica, le norme che ne regolamentano il commercio e, di conseguenza, le prospettive del mercato? A queste domande l’incontro ha provato a dare risposta attraverso la partecipazione di operatori e studiosi, tra i quali Elia De Caro, avvocato del foro di Bologna e membro dell’Associazione Antigone.
La prima questione su cui De Caro ha fatto chiarezza è quella delle caratteristiche della “cannabis light” e del contesto normativo in cui si situano commercializzazione e consumo. A tale riguardo, qui di seguito, lo ascoltiamo in un brano di un’intervista realizzata il 26 maggio scorso da alcuni giovani partecipanti ai laboratori radiofonici di Libera Radio.

Dunque, secondo le parole di De Caro, si tratta di sostanze legali per scopi ornamentali, da collezione per chi acquista, ma non per uso personale. Occorre, in tal senso, tenere in considerazione che, nonostante il basso contenuto di THC, la “cannabis light” può essere considerata lecita solo in situazioni specifiche e controllate. In altre parole, le infiorescenze di canapa che seguono i criteri stabiliti dalla legge 242 del 2016 (in materia di promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa) sono considerate legali ma, al contempo, l’articolo 75 del D.P.R. 309/90, Testo Unico sulle Tossicodipendenze, ne sanzionerebbe l’importazione, l’esportazione, l’acquisto e la detenzione come sostanze stupefacenti o psicotrope. Una sorta di “vulnus” legislativo che, recentemente, ha visto anche un pronunciamento del Consiglio superiore di Sanità che si è espresso contro la commercializzazione di questo prodotto. In un parere richiesto a febbraio dal segretariato generale del ministero della Salute, l’organo consultivo raccomanda “che siano attivate, nell’interesse della salute individuale e pubblica e in applicazione del principio di precauzione, misure atte a non consentire la libera vendita dei suddetti prodotti». Un duro colpo per un mercato in piena espansione, per un prodotto venduto sia in negozi specializzati che su internet”. In base a questo parere infatti, il ministero – previo parere già richiesto all’Avvocatura dello Stato – potrebbe poi intervenire con una apposita norma. Un intervento che rischia di determinare la chiusura di centinaia di negozi specializzati nella vendita della canapa, che negli ultimi mesi sono sorti in tutta Italia. Sarebbero circa 700 i punti vendita che commercializzano “cannabis light”, e decisamente in crescita anche le aziende agricole – secondo Coldiretti dai 400 ettari complessivi del 2013 ai quasi 4.000 stimati per il 2018 – che hanno avviato nel 2018 la coltivazione di canapa leggera in tutta Italia. Per un giro d’affari che si stima attestato sui 40 milioni di euro.

Ultima questione di cui si è discusso durante l’incontro di Area 15 è stata la questione della disciplina normativa sull’uso terapeutico dei derivati della cannabis. In Italia, ha spiegato De Caro, è consentito l’uso terapeutico dei medicinali a base di cannabinoidi, previa prescrizione medica e attraverso una farraginosa procedura di importazione dall’estero del farmaco. Non è invece consentito l’uso terapeutico delle inflorescenze autoprodotte. Col decreto 98 dell’aprile 2007, infatti, l’allora ministro della Salute, Livia Turco, ha per la prima volta riconosciuto la possibilità di prescrivere e utilizzare, a fini terapeutici, il principale principio attivo della cannabis (THC)  e due derivati di sintesi (Dronabinol e Nabilone), particolarmente utili nella terapia del dolore e nel trattamento di patologie neurodegenerative, come la sclerosi multipla. In seguito, tra le sostanze psicoattive autorizzate a fini medici sono stati inseriti i “medicinali di origine vegetale a base di cannabis”. Alcune regioni (Puglia, Marche, Liguria, Veneto, Toscana, Friuli Venezia Giulia, Abruzzo, Sicilia e Umbria) ne hanno disciplinato le modalità di distribuzione a carico del Servizio sanitario nazionale. Ciò nonostante, l’uso terapeutico della cannabis è ancora molto limitato nel nostro Paese e ancora lontanissimo dal rispondere in maniera adeguata alla domanda di medici e pazienti.  Pesano vincoli legali e burocratici nella produzione, distribuzione e prescrizione dei farmaci.

Per saperne di più, consigliamo di consultare il sito www.nonmelaspaccigiusta.it, che supporta corrette informazioni per genitori e giovani e politiche educative sul tema generale delle sostanze.

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