Area 15, giovani consumatori e caregiver in pandemia

Dalla modalità in presenza a quella online: anche Area 15, il servizio di prevenzione e consulenza promosso dal Comune di Bologna, con il lockdown ha dovuto riorganizzarsi. E l’ha fatto spostandosi in rete, dove poteva già contare un’ottima visibilità. Il sito (www.area15.it), Facebook, il nuovo profilo Instagram, WhatsApp e poi Skype e Google Meet: dal reale al virtuale, con – all’inizio inattesi – ottimi risultati.

Situato in via De’ Castagnoli, cuore universitario di Bologna, Area 15 nasce nel 2012 come servizio rivolto alla fascia d’età 18-30. Negli ultimi mesi, l’evoluzione della sinergia con il Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche (DSMDP) dell’AUSL di Bologna attraverso il Progetto giovani consumatori e il raccordo con gli indirizzi regionali in materia, ha comportato una maggiore focalizzazione degli interventi nella fascia d’età 13-24 anni sul tema del consumo delle sostanze e più generale sugli stili di vita dei giovani. L’équipe di lavoro è multiprofessionale: educatori, psicologi, esperti legati ai progetti di promozione del benessere e riduzione dei rischi del territorio. Tra gli elementi cardine del progetto, accessibilità, accoglienza e aggancio; flessibilità organizzativa; interventi sia psicologici sia educativi; interventi tempestivi e percorsi personalizzati. “Fin dall’avvio del servizio il web ha rappresentato uno spazio concreto di azione per rispondere a diverse obiettivi: promuovere il servizio con un sito dedicato; sensibilizzare e informare nella sezione del blog con brevi approfondimenti sul fenomeno dei consumi; segnalare in maniera tempestiva nuove sostanze-NPS e rischi connessi; interagire attraverso la gestione dei canali social network; accogliere attraverso la possibilità di usare le chat in forma anonima”, spiegano Marcello Lolli, educatore di Open Group e Alberto Sondo, psicologo de La Carovana onlus, operatori di Area15.

I colloqui in rete

Questa importante pregressa presenza in rete ha favorito la riorganizzazione dei servizi in pandemia, come da indicazioni del Comune per supportare i casi che l’équipe di lavoro già stava seguendo e intercettare eventuali nuove richieste. “Abbiamo sperimentato consulenze psicologiche ed educative a distanza in primis con persone già motivate o ben agganciate al servizio – spiegano Lolli e Sondo –. Abbiamo scelto di essere molto flessibili, sia in termini di orari e giorni, sia in termini di strumenti, in modo che ognuno avesse la possibilità di connettersi ritagliandosi un po’ di tranquillità. Quasi tutti hanno proseguito i colloqui ma c’è stato chi ha fatto fatica a ritrovarsi in un colloquio online, magari anche per scarsa motivazione: in quei casi abbiamo privilegiato vocali e messaggi”. Dall’11 marzo al 31 maggio, ultimo giorno di operatività a distanza, sono stati svolti 98 colloqui a distanza (51 a carattere educativo, 47 a carattere psicologico) coinvolgendo 19 persone (12 giovani, 7 genitori).

Genitori caregiver

In lockdown ci sono stati anche due nuovi contatti: si è trattato di genitori allarmarti dai comportamenti dei figli. “Nel corso degli anni, grazie al lavoro di rete sul territorio e al passaparola, sono molti di più i genitori che ci contattano – sottolineano gli educatori –. Anzi, nella maggior parte dei casi la segnalazione parte proprio da loro. Sono allarmati per il nervosismo dei figli, per la loro aggressività. Ci raccontano di come non riescano a intrattenere delle conversazioni con i ragazzi sul tema del consumo. Si legano i temi della scuola, dello studio, della ricerca del lavoro, della permanenza sui social o davanti alla televisione, del gioco d’azzardo. Ci contattano genitori di figli depressi, che avanzano idee suicidarie. C’è chi ha le piantine di marijuana in casa, qualcuno a cui è stata ritirata la patente, chi ha ricevuto una segnalazione da parte delle forze dell’ordine. Sono preoccupati, vorrebbero fare qualcosa. Noi li ascoltiamo, analizziamo i loro bisogni, rielaboriamo la storia per offrire loro nuovi spazi di interpretazione. Talvolta capiamo che l’ansia dei genitori è quasi troppa, altre volte, invece, capita che si arrivi lunghi, in ritardo, e che la situazione sia effettivamente preoccupante”. Dopo la segnalazione dei genitori, l’obiettivo è coinvolgere il figlio: ci sono casi in cui i colloqui con i genitori e quelli con il figlio vadano di pari passo (seguiti però da educatori diversi, che poi si confrontano in équipe), capita altresì che scelgano di proseguire solo i genitori, oppure che l’unico intervento necessario sia quello con il figlio che, naturalmente, deve dare la propria disponibilità. “Ogni caso è diverso: sicuramente se viene meno la motivazione il percorso è accidentato”.

La richiesta diretta

Sin qui abbiamo parlato di genitori che intercettano un problema, ma Area 15 nasce come servizio di prevenzione e consulenza per i giovani: “L’obiettivo è l’intervento sul giovane, ma se è la famiglia a chiedere un aiuto noi proviamo a sostenerla al meglio. Anche perché un intervento ben fatto sulla famiglia poi, a cascata, può dare esiti positivi anche sul figlio”. Per dare un’idea, più o meno un terzo delle richieste totali ad Area 15 arriva da genitori: “Li ascoltiamo e costruiamo insieme un percorso. Con qualcuno ci vediamo solo una volta, con altri intraprendiamo percorsi anche molto lunghi”. Ci sono minori tra i ragazzi che decidono di contattarvi direttamente? “Al momento molto pochi, ma il nuovo target 13-24 anni con ogni probabilità avremo in futuro nuovi accessi. Nel caso di minori, per partire con i contatti abbiamo sempre bisogno di una dichiarazione del genitore: è un procedimento obbligatorio, ma prestiamo sempre la massima attenzione a non inficiare la libera accessibilità dei minorenni, soprattutto se sono loro a portare una richiesta d’aiuto”.

Gli “altri” caregiver

Ragazzi, genitori, ma anche un’ampia gamma di caregiver. “A volte a prendere contatto sono stati i fidanzati, i coinquilini, un amico, un collega. Succede meno, ma succede. In questi casi è plausibile che i rapporti tra noi e loro durino meno: d’altronde non sono obbligati né legalmente né socialmente a prendersi cura di quella persona. Le amicizie cambiano, come le case e i fidanzati. A quel punto tutto dipende dalla motivazione del diretto interessato”. Non è raro, invece, che ad Area 15 scelgano di rivolgersi gruppi formali (come gli scout) o informali (un gruppo di amici) che vogliono informarsi perché perché direttamente o indirettamente coinvolti: gli scout più grandi che durante un’uscita con i più piccoli sono venuti a sapere che c’è chi fa uso di alcolici o, alle volte, cannabinoidi; qualche amico che ha dubbi sui comportamenti di un suo coetaneo. “C’è chi ha, su questi temi, maggiore o minore sensibilità, maggiore o minore voglia di interessarsi: noi comunque ci siamo. Facciamo anche formazioni per altri operatori, per docenti ed educatori”.

Dal reale al virtuale e ritorno

Il 31 maggio, come detto, è stato l’ultimo giorno di operatività a distanza. “Ma continuiamo a offrire la doppia possibilità, online e offline. Visti gli ottimi risultati, la modalità virtuale non la abbandoniamo. Adesso tutti sono tornati in presenza, ma c’è chi ha preferito continuare per un po’ online. La pandemia ci ha obbligati a raffinare le nostre capacità di ascolto e intervento. Cosa abbiamo capito dai colloqui? A dispetto delle previsioni fortemente pessimistiche rispetto alla tenuta psico-fisica dei giovani consumatori, si possono trarre alcune conclusioni che parzialmente smentiscono queste aspettative. Ovviamente è un punto di vista parziale e circoscritto rispetto al numero di persone intercettate, ma pensiamo possa essere comunque significativo. Le storie che abbiamo raccolto rimandano un quadro di relativo ‘controllo’ rispetto ai consumi, se non di totale astinenza. Le persone sembrano aver gestito la situazione straordinaria attingendo a risorse che, a volte, non pensavano di avere. Sarà interessante osservare come e se queste risorse verranno sfruttate nel medio-lungo termine, e se avranno una ricaduta in una quotidianità non più eccezionale”.

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