di Ilaria Capucci, Chiara Lattante e Giulia Solignani
Potremmo dilungarci sul significato di adolescenza dal punto di vista psicopedagogico per ore e ore; potremmo raccontarvi, cari genitori e adulti di riferimento, che l’adolescenza è quel periodo in cui il bambino tenta faticosamente di costruire quella che sarà la propria identità di adulto. Potremmo anche spendere più di qualche parola sull’importanza del gruppo dei pari, sul bisogno di sperimentare e di sperimentarsi, di conoscere limiti e possibilità di un corpo in evoluzione. Preferiamo invece utilizzare una metafora: immaginate i vostri figli sulla riva di un fiume. Sono ancora bambini, o pre-adolescenti. Desiderano arrivare sulla riva opposta di quel fiume. Voi li guardate con apprensione, curiosità, fiducia ma forse anche con angoscia e preoccupazione. Li incoraggiate ad attraversare il fiume, oppure cercate di tenerli con voi sulla riva sicura e conosciuta dell’infanzia. L’adolescente però vuole staccarsi dal modello genitoriale, vuole guadare quel fiume. Non sa cosa lo aspetterà, potrà incontrare forti correnti alternate a qualche lieve increspatura, mulinelli che tenteranno di trascinarlo sul fondo ma anche rocce a cui aggrapparsi, su cui prendere fiato e scaldarsi al sole. In alcuni momenti potrà o vorrà tornare indietro, fermarsi, per poi correre verso la riva dell’età adulta. Forse dovrà camminare in aree fangose, farà fatica.
Non ci è dato sapere quanto durerà questa traversata. Da alcuni adulti l’adolescenza viene percepita come un’invenzione e in certe aree della Terra effettivamente non esiste: il bambino diventa adulto attraverso riti di passaggio o semplicemente per necessità. Se torniamo indietro con la memoria, possiamo trovare anche nel mondo occidentale alcuni momenti che hanno scandito il passaggio da una fase all’altra della vita: il compimento dei 18 anni (o dei 16), la patente, la leva militare, l’esame di maturità, il primo lavoro… Oggi invece questi momenti sono stati in parte sostituiti dai cosiddetti riti di “significazione”: non più un passaggio da bambino ad adulto, bensì una serie di esperienze che gridano “Sono qui! Sto crescendo, mi sto mettendo alla prova nel mondo”. E allora ecco le uscite con gli amici e le prime esperienze sessuali, l’innamoramento, la sperimentazione di sostanze psicotrope, la ricerca di conferme attraverso il mondo dei social-network o quello dei videogiochi.
Ma soffermiamoci sul consumo di sostanze psicotrope in adolescenza. “Drug, Set e Setting” di Norman E. Zinberg è la teoria a cui spesso si fa riferimento per spiegare la relazione tra differenti fattori che incidono sugli stili di consumo nella persona. Essa afferma che gli effetti delle sostanze psicoattive dipendono dal “set” (peso corporeo, funzionamento dell’organismo, sesso, salute fisica e mentale), dal “setting” (situazione in cui avviene il consumo) e da “drug” (composizione della sostanza, purezza). Questi tre fattori interdipendenti esercitano un’influenza decisiva sugli effetti e sui rischi, ma anche sull’evoluzione dei consumi. Se associamo questa teoria alla fase evolutiva adolescenziale, possiamo notare come la complessità regni sovrana, determinando un’integrazione e un’interrelazione tra dinamiche evolutive tumultuose del soggetto in crescita e specificità del contesto e della sostanza consumata, che non possono essere ignorate.
Per questo informare, dialogare, confrontarsi tra giovani e adulti risulta essere il ponte che consente agli adolescenti di attraversare il fiume in autonomia, ma potendo sempre guardarsi indietro e chiedere una mano in caso di confusione, incertezza o disorientamento.
Oltre al consumo di sostanze l’adolescenza di oggi è un’adolescenza digitale, una fase di sviluppo che non può prescindere dall’uso dei social network come bisogno fondamentale di socializzazione. Tale socializzazione digitale tuttavia si sviluppa in una fase evolutiva in cui il cervello dell’adolescente è ancora non completamente formato e proprio per questo motivo condiziona non poco l’evoluzione psicosociale e relazionale dei giovani. Frequentemente da parte dei genitori che parallelamente vivono l’adolescenza dei figli subentrano preoccupazioni legate al loro utilizzo dei social, quali per esempio Instagram e Tik tok per citare i più popolari: “Ho beccato mio figlio postare foto ammiccanti…”, “È sempre attaccato allo smartphone e non si riesce più a comunicare..”. Viene, quindi, da chiedersi in che modo relazioni “reali” e “virtuali” possano convivere in maniera autentica ed equilibrata e soprattutto quali competenze siano richieste agli adulti per accompagnare i propri ragazzi in questa sfida… Verso la sponda opposta del fiume.
Ciò che può essere utile è sicuramente informarsi sulle modalità di funzionamento di un social in modo da conoscerne anche gli eventuali rischi; inoltre, è importante educare a un uso sano delle tecnologie, negoziandone eventualmente i tempi di utilizzo.
Educare creando spazi di relazioni… Non solo proibizioni.
Durante la traversata e il turbolento approdo verso l’adultità, al genitore spetta il compito di cercare di accompagnare il figlio con sguardo attento, ma non giudicante. In alcuni momenti vorrà forse girarsi dall’altra parte o intervenire con una scialuppa di salvataggio; non esistono soluzioni univoche poiché ogni viaggio, ogni adolescenza, è in qualche modo a sé stante. Il genitore può tuttavia tentare di mantenere il focus sulle proprie emozioni, nominare ed esplicitare i propri stati d’animo nel rivolgersi all’adolescente (messaggio io). Potrà inoltre cercare di scindere il comportamento dalla persona. (“Sei un idiota” è molto diverso da “Hai fatto una stupidaggine, ti sei messo/a a rischio e io mi sono preoccupato/a molto”).
Forse non sarà una traversata in acque tranquille ma alla fine, in un modo o nell’altro, si vedrà la sponda opposta emergere tra la nebbia… E il grido “Terra!” risuonerà come un canto di liberazione.