Blue Whale, un’occasione di dialogo coi propri figli. Intervista con Stefano Costa

Potremmo definire quella della cosiddetta “Blue Whale” una vicenda in larga parte mediatica, che inizia nel maggio 2016 sulle pagine della Novaya Gazeta, il quotidiano di Mosca fondato da Anna Politkovskaja, la giornalista investigativa uccisa nel 2006. Nell’inchiesta, il giornale collegava almeno 80 delle 130 morti di giovani avvenute in Russia tra il novembre 2015 e l’aprile 2016 a delle comunità virtuali su VKontakte, l’equivalente russo di Facebook, dove i ragazzi sarebbero stati istigati a togliersi la vita attraverso un macabro rituale. Un lavoro duramente criticato da altri media, secondo i quali non esisteva alcuna relazione tra i suicidi e le chat. Tra l’altro, mentre da un lato si parlava di generici “gruppi della morte”, alcuni hanno iniziato ad associare al fenomeno le farfalle, altri… le balene! Di qui, il nome Blue Whale (cioè balena blu o azzurra, per l’abitudine dei cetacei di spiaggiarsi e morire) nella rappresentazione mediatica di un ipotizzato fenomeno in atto. Non bastava la Russia a descrivere questa tragica e fantomatica challenge (50 prove di violenza e autolesionismo che terminano nel suicidio), quando con un malsano sensazionalismo, con una delle non rare “bufale” giornalistiche per pompare l’audience (soprattutto giovanile), il programma televisivo “Le Iene” ha rilanciato il tema in Italia, suscitando allarmismo e reazioni mediatiche incontrollate. A poco sono valse le tardive ammissioni dell’autore del programma di non aver verificato le fonti, in poche parole di aver sostanzialmente violato le regole del proprio codice deontologico. Dal punto di vista informativo, il danno era già fatto.

Per settimane se ne è parlato alla radio e in televisione, sui giornali e in rete, sui social e nelle scuole, sono spuntati decaloghi di comportamento rivolti ai giovani e ai loro genitori (come quelli di Telefono Azzurro e della Polizia Postale), come pure – ne è un esempio il caso di Bologna – la nota che la Procura della Repubblica ha emanato presso il Tribunale Minorenni. Con essa si è chiesto ai servizi sociali e alle istituzioni che possono avere notizia o sospetto del coinvolgimento di minori nel “gioco” della Blue Whale di rivolgersi immediatamente ai servizi sociali, che devono trattare tali casi con il criterio della priorità assoluta.

Eppure, nonostante la attuale certezza che non esiste alcuna prova definitiva che “Blue Whale” abbia causato o stia causando direttamente dei suicidi tra i giovani, sia in Russia che in Italia, e tantomeno che si tratti di “una nuova moda”, il tema ha prodotto anche un dibattito e una nuova attenzione su problematiche e fenomeni – come quello dei suicidi – che coinvolgono l’universo giovanile.

DrugAdvisor ne ha parlato con Stefano Costa, neupsichiatra infantile che si occupa di adolescenti con disturbi psicopatologici gravi ed è responsabile di una specifica Unità operativa di Psichiatria e Psicoterapia dell’Età Evolutiva dell’Ospedale Maggiore AUSL di Bologna. In particolare, Costa rivolge le sue competenze a giovani con problematiche di tentato suicidio, scompenso psicotico, depressione, disturbi di personalità e della condotta. Nell’intervista che vi proponiamo, esordisce spiegando che almeno la metà della casistica di cui si occupa riguarda giovani che arrivano al servizio di Pronto soccorso dell’Ospedale Maggiore accompagnati dai genitori. Si tratta di ragazzi autori di atti autolesivi, di tentato suicidio o con gravissimi episodi di comportamento a casa e a scuola. Altri, invece, arrivano dal servizio territoriale con aggravamenti di problematiche già note. Un’ultima, piccola parte di utenza del servizio – circa il 10 per cento – riguarda giovani che hanno smesso di andare a scuola, che si sono chiusi nella loro camera di casa: in pratica la versione italiana degli hikikomori. Una patologia, quest’ultima, in aumento e che registra una diminuzione dell’età dei soggetti.

Se, dunque, l’effetto imitativo o di “ispirazione” è una variabile da tenere in costante attenzione per quanto concerne fenomeni come la Blue Whale, ancora più importante appare la relazione con la corretta informazione.

Stefano Costa prende poi in esame i segnali di allarme e i reali fattori di rischio che la comunità intesa in senso ampio e, in particolare, i genitori possono notare, ascoltare per prevenire o intervenire nell’emergenza.

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