L’avventura di cambiare insieme ai propri figli. Intervista a Lidia De Vido

Essere genitori durante il periodo dell’adolescenza dei propri figli non è quasi mai facile. I ragazzi e le ragazze sentono il bisogno di “separarsi” da mamma e papà – che a volte fanno di tutto per non permetterlo -, di scoprire e inventare la loro identità al di là della famiglia. Vogliono uscire dai ruoli che hanno sperimentato da bambini e per farlo, spesso, tentano strategie (ribellioni, chiusure e trasgressioni) che non sempre i genitori riescono a capire o ad accettare, rischiando di aumentare il livello del conflitto. Un buon modo per uscire da queste dinamiche prima che si cronicizzino è quello di allontanarsi, prendere per un momento le distanze dai luoghi abituali e fare esperienze che permettano, ai ragazzi e ai genitori insieme, di mettersi in gioco e di interpretare ruoli diversi. Dal punto di vista educativo, le esperienze in contesti naturali riescono quasi sempre a scardinare alcune dinamiche acquisite, ancor più quando si tratta di attività avventurose, “adrenaliniche”, emozionanti.
Per capire il significato di queste esperienze condivise tra genitori e figli abbiamo intervistato Lidia De Vido, guida speleologica per l’Ente di Gestione dei Parchi e la Biodiversità Emilia Orientale ma anche educatrice della cooperativa bolognese La Carovana.

Da dove nasce l’idea di queste particolari esperienze?
L’idea nasce dagli stessi intenti originari della nostra cooperativa, da un gruppo di giovani appassionati di arrampicata, speleologia, alpinismo e trekking che, nel 1982, si è chiesto come queste attività avrebbero potuto essere di supporto anche nelle fasi di crescita dei giovani. Quella vocazione è diventata metodo di lavoro e continua a segnare la strada nei rapporti educativi e nelle progettazioni che realizziamo. Ci sono alcune parole che possono aiutare a definire i confini di questa metodologia: avventura e gruppo, corpo, limiti e regole, passione, sperimentazione, fatica, obiettivi e condivisione, solitudine, tempo e relazioni, racconto e ricordo.
Tutti questi elementi assieme, se gestiti in modo appropriato, permettono di vivere delle esperienze e quindi delle emozioni. In altri termini, si può anche descrivere come il dare parola a ciò che abbiamo vissuto, in modo che diventi patrimonio costitutivo nella nostra vita quotidiana e nella scoperta di noi stessi, ci “faccia fare storia” del tempo e delle azioni vissute con altri.

Con quali modalità proponete questa uscita condivisa dal quotidiano?
L’avventura è la dimensione del possibile dentro l’impossibile, è apprendere l’opzione della scelta e mettersi alla prova in un contesto reale che ci chiede preparazione e messa in gioco, pur non sapendo l’esito dell’azione. Quindi, ci permette di vivere di noi e delle persone con cui condividiamo l’avventura, aspetti e capacità non visibili nelle solite zone del nostro vivere quotidiano. È anche l’occasione di lasciare spazio al desiderio e alla scoperta di passioni, limiti, paure e risorse per affrontare le difficoltà che si incontrano. È la fatica e la gioia di superare passaggi difficili e di sentire la stanchezza del corpo e la leggerezza della mente. Tutto questo, nel pieno della bellezza della natura e della sollecitazione dei nostri sensi. Perché ciò sia possibile devono però esserci un tempo in cui l’avventura accade, regole e limiti entro cui muoversi, un obiettivo da raggiungere definito in partenza. Se non è avventura “in solitaria” è necessariamente relazione con il gruppo. Così si costruisce una storia che è fatta da ciascuno e che può diventare memoria che ci sostiene. Come ha affermato il pedagogista Ivano Gamelli, “l’avventura evoca il tempo e fa vivere il corpo. Il corpo, attraverso l’avventura, esercita la presa sul mondo”.
Parlando del periodo dell’adolescenza, il tempo della crescita è il tempo del cambiamento, quindi imparare ad accompagnare i cambiamenti e a sperimentare identità possibili facilita la costruzione dell’essere adulti e consapevoli. Il confronto con un gruppo di “pari” e con adulti che accompagnano, facilita e guida l’avventura, sostiene la ricerca adolescenziale dell’identità e la convivenza con i possibili modi di essere adulti. Permette di sperimentare la relazione con l’altro e l’importanza dell’altro, aiuta a scoprire cosa ci piace e cosa non ci piace, a dare un nome alle sensazioni che proviamo e quindi a dare un nome alle emozioni.

 Che riscontri avete di queste “avventure”, puoi farci un esempio che ti ha particolarmente colpito?
Più delle parole sarebbe significativo vedere le immagini fotografiche e soprattutto gli sguardi delle ragazze e dei ragazzi che partecipano. E tutti i piccoli e particolari accadimenti che si sviluppano durante l’esperienza sono ciò che riesce a dare il senso e il riscontro di quello che i giovani vivono. Provo a spiegarmi accennando ad alcune situazioni accadute.
La prima ha riguardato un gruppo di preadolescenti impegnati in un trekking di due giorni con i mezzi pubblici. Si dormiva in rifugio e ci si faceva da mangiare. Zaino in spalla e ore di cammino. Quelli tra loro che l’anno successivo avrebbe dovuto sostenere l’esame di terza media, per incoraggiarsi si dicevano: “Se siamo stati capaci di fare questo trekking, cosa vuoi che sia affrontare l’esame!”. Poi c’è stato un gruppo di persone seguite da servizi pubblici dedicati alle dipendenze patologiche che ha fatto un’esperienza di discesa in grotta. All’uscita, ognuno riportava la sensazione di quiete e di piacevolezza del silenzio che non sperimentava più da tempo, come pure la scoperta del piacere nell’usare il corpo sentendone la stanchezza e la leggerezza dei pensieri. Infine, un gruppo di giovani adulti, anche loro durante e dopo una discesa in grotta, raccontavano del piacere del buio, della sperimentazione di sensazioni fisiche e dell’aiuto reciproco, della scoperta di capacità che non credevano di avere, di emozioni che sono nate dall’esperienza fisica e di condivisione.

C’è qualche consiglio che vorresti dare a genitori che volessero provare a fare queste cose insieme ai propri figli adolescenti?
Affrontare la natura significa mettersi in gioco, una premessa che vale anche per gli adulti. È inoltre un’esperienza che si fa assieme, in cui ognuno porta ciò che conosce, ma direi, soprattutto, la curiosità e la voglia di aprirsi ad aspetti di sé e dei propri figli che non si danno per scontati. Le persone adolescenti tra poco saranno adulte: in un’esperienza in natura direi ai genitori di prestare attenzione a come i giovani si rappresentano come adulti. Ma anche come, da genitori, si preparano alla loro crescita. Se la parola chiave è cambiamento, gli adulti non possono stare fermi. Spetta proprio a loro giocare a un gioco che non conoscono, ridefinendo il linguaggio e le modalità di relazione, affinché a chi sta crescendo arrivi chiaro il messaggio e la curiosità dell’adulto di conoscere questo suo tempo e momento di mutazione.
Se il canale comunicativo è già aperto si può quindi proporre un’esperienza e costruirne insieme il percorso, ognuno coi suoi compiti da svolgere. Se il canale comunicativo è un po’ sopito o ci sono difficoltà di relazione (frequenti e normali in alcune fasi della crescita), si può provare a fare la proposta. Senza forzature o obblighi, che rischiano di ribadire la staticità della relazione.
Se si scopre che non è il momento giusto per proporre un’esperienza simile, si possono provare due strade. La prima, valida soprattutto per gli adulti non soliti a queste esperienze, consiste nel comunicare ai figli che andranno a farle comunque e da soli per curiosità e voglia di provare. La seconda è proporre ai figli di fare questa esperienza con degli amici, come un regalo, come uno dei modi possibili per dire “ti voglio bene, e anche se abbiamo delle difficoltà questa cosa non cambia e ti penso”. I più piccoli, solitamente, sono più disponibili a “condividere” con i genitori. In questo caso, da adulti, sarà positivo far loro sperimentare un nostro modo non abituale di essere.
Per gli adulti, il pensiero del cambiamento non è sempre facile o presente. Eppure, la crescita dei figli significa un importante cambio delle relazioni del sistema-famiglia. Non si è obbligati a fare da soli. Anzi, la condivisione e il confronto con altri modi e mondi possibili è ciò che amplia il pensiero e le opportunità. Permettiamoci, da adulti, di chiedere aiuto e andare a conoscere servizi o gruppi con cui confrontarci. Se vogliamo “essere un esempio”, dimostrare che non è necessario saper fare sempre da soli è un bel messaggio per i figli.

Condividi l'articolo su:

Pubblicato su News and tagged , , , , , .
« »